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Sui nostri corpi, sulla nostra salute e sul nostro piacere decidiamo noi!


Dal report sul tavolo sulla salute uscito dall’assemblea Non Una di Meno di Bologna

L’8 marzo vogliamo ribadire che la nostra AUTODETERMINAZIONE SESSUALE E RIPRODUTTIVA non si tocca, che sul nostro piacere, sulla nostra salute, sulle nostre scelte e sui nostri corpi decidiamo noi, che siamo orgogliosamente anomale, sproporzionate, poco produttive e disfunzionali. L’8 marzo scioperiamo: ci asteniamo dall’attività produttiva e riproduttiva per riappropriarci dei nostri corpi. Perché ogni giorno delle nostre vite vogliamo sottrarci alla violenza medica e ostetrica, liberare le nostre scelte, godere pienamente di tutto ciò che i nostri corpi possono e desiderano. Crediamo che lottare per la nostra salute sessuale e riproduttiva voglia dire riappropriarci del nostro piacere e mettere in discussione le logiche medicalizzanti e patologizzanti.

Scioperiamo per reclamare il diritto all’aborto libero e perché nessuna sia obbligata alla maternità.

Siamo connesse alla dimensione transnazionale dello sciopero, consapevoli che in ogni parte del mondo si attaccano le pratiche di autodeterminazione. Siamo partite, infatti, criticando l’insediamento di Trump: 7 uomini che decidono sui corpi delle donne, ennesimo, per nulla solo simbolico, attacco alla libertà di scelta. Siamo poi tornate all’Europa, dove non c’è uno scenario migliore, pensiamo a Irlanda e Malta, ma anche Polonia, Spagna, all’obiezione di coscienza che aumenta anche in Austria. Sappiamo che le percentuali di obiezione in Italia superano il 70%, che ci sono regioni dove l’obiezione arriva al 90%, dove si muore di obiezione e non solo e ricordiamo anche casi di ginecologi che nel pubblico obiettano e poi dirottano le donne nei loro ambulatori privati. Sappiamo che una delle soluzioni è l’abolizione dell’obiezione di coscienza negli ospedali pubblici, con l’abrogazione dell’art.9 della legge 194. Vogliamo anche fermare l’avanzata illegittima dell’obiezione nelle farmacie e nei consultori. Rifiutiamo l’obiezione in quanto ingerenza del potere medico e controllo sui corpi. Ribadiamo la necessità di riportare al centro l’autodeterminazione e il sapere ostetrico e ginecologico femminista.

Vogliamo pieno accesso a tutte le tecniche abortive (farmacologiche e non). La RU486 è scarsamente utilizzata e con forti disomogeneità nelle varie regioni. Chiediamo perciò di armonizzare i protocolli di impiego della RU486 su tutto il territorio nazionale, ampliarne il ricorso a 63 giorni superando l’ospedalizzazione imposta, con il Day Hospital e chiediamo il suo uso anche per l’aborto terapeutico. L’aborto farmacologico pone le condizioni per svincolare la donna dallo strapotere medico-ginecologico in fatto di IVG. Rivendichiamo la cancellazione delle sanzioni a carico delle donne che ricorrono all’aborto fuori dal servizio sanitario nazionale: sono i medici obiettori a dover pagare il prezzo di un sopruso che limita la libertà della donna a decidere di se stessa. La sanzione a carico delle donne è inoltre un deterrente a ricorrere a cure mediche in caso di complicanze post-operatorie.

Le donne non sono condannate a partorire né ad abortire con dolore. Vogliamo combattere lo stigma dell’aborto come dramma, superare la retorica dell’evento traumatico, del peccato da redimere. L’accesso all’aborto deve essere considerato tra le possibilità nella vita di una donna, su cui è l’unica a poter decidere: va esclusa la necessità del cosiddetto termine di riflessione di 7 giorni e di qualsiasi forma di “nulla osta” all’IVG o all’aborto terapeutico.

La violenza ostetrica deve essere riconosciuta, anche a livello giuridico, insieme alle altre forme di violenza contro le donne. Interessa la salute riproduttiva e sessuale delle donne, declinata sia nella scelta della maternità che, all’opposto, nel suo rifiuto. Vogliamo la piena applicazione della legge 194 relativamente ai servizi gratuiti per la maternità. Vogliamo promuovere una cultura della fisiologia della gravidanza e del parto, puerperio e allattamento rispettosa delle scelte delle donne, anche attraverso la costituzione all’interno e fuori dagli ospedali dei punti nascita, di case maternità pubbliche e garantendo il rimborso del Parto a Domicilio da parte dei Servizi Sanitari Regionali per le donne che scelgono di partorire in casa ; vanno contrasti gli eccessi della medicalizzazione sul corpo delle donne, riconoscendoli come abusi e atti medici illegittimi non giustificati da ragioni mediche, troppo spesso utilizzati senza consenso informato delle donne.

Chiediamo, per le vittime di violenze di genere, la sostituzione del modello del Codice rosa con le buone pratiche elaborate dal tavolo fuoriuscita dalla violenza – Cav (nella definizione che sarà accolta nel Piano Femminista Antiviolenza) e dalle esperienze femministe che si occupano del contrasto alla violenza sulle donne. Il modello del Codice rosa, infatti, non è basato su un approccio di genere, non promuove e non favorisce l’autodeterminazione della donna, ma, al contrario, la cala in un percorso obbligato ospedale/contesto giudiziario, nell’immediatezza di un episodio di violenza e sulla base di colloqui con personale non specificamente formato sulla violenza di genere.

L’esercizio concreto dell’autodeterminazione dipende da molti fattori, quali le condizioni materiali, la provenienza, la conoscenza della lingua, l’accesso alle informazioni e e al sapere, le trasformazioni delle condizioni e degli stili di vita. Per questo il ruolo dei consultori deve essere ripoliticizzato e rimesso al centro: i consultori devono tornare a essere aperti e accoglienti, liberi e gratuiti, diffusi nel territorio. Per perseguire questo obiettivo è necessario rimettere in discussione il processo di istituzionalizzazione che li ha sottratti alle donne trasformandoli in meri servizi socio-sanitari comunque di serie C. Riappropriarsi dei consultori significa quindi recuperarli alla funzione di spazi in cui sessualità, piacere e autodeterminazione assumano piena centralità.

Vogliamo tornare a vivere i consultori come luoghi di aggregazione e centri culturali, che rispondano alle esigenze e ai desideri delle donne e delle soggettività lgbtqi. Vogliamo consultori in grado di promuovere e tutelare il diritto alla salute delle persone trasgender, lesbiche, queer, gay, bisex, e intersex, vogliamo che i consultori diventino luoghi capaci di accogliere e riconoscere le molteplici identità di genere che un individuo può sperimentare nella sua vita, nonchè accogliere e riconoscere qualsiasi tipo di orientamento sessuale. Le differenze di cui sono portatori i corpi non devono essere standardizzate né negate, nei consultori i servizi offerti devono essere sempre pensati su misura di corpi favolosamente non standard, non solo giovani, non solo bianchi, non solo abili. Vogliamo che nei consultori venga assunto più personale con formazione multidisciplinare, che venga riconosciuto un ruolo fondamentale alla figura della mediatrice culturale.

Vogliamo ri-portare nei consultori le pratiche di autogestione della salute, come le consultorie transfemministe queer e gli sportelli popolari, per riappropriarci della conoscenza dei nostri corpi e non delegare le decisioni “ai tecnici”. Vogliamo promuovere scambi, alleanze e reti con operatrici, ostetriche e ginecologhe, vogliamo proporre una (auto)formazione su sessualità e riproduzione che argini la disinformazione promossa dai bigotti pro-life (ma più che “pro vita” andrebbero chiamati “contro l’aborto”), che rimetta al centro il desiderio e i piaceri, smettendo di dare per scontato che le pratiche sessuali penetrative, eterosessuali e riproduttive siano le uniche possibili, e che prenda in considerazione l’esistenza di corpi trans, disabili, eccedenti le norme di genere, sessualità, dis/abilità, età, e di culture sessuali diverse da quella dominante. Vogliamo che i consultori promuovano la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili (MTS) tramite la diffusione di informazioni, la distribuzione gratuita di preservativi maschili e femminili, l’accesso gratuito ai test e a tutti i tipi di contraccezione. Chiediamo che gli screening siano realmente gratuiti e inclusivi di tutte le soggettività. Vogliamo che la disforia di genere non sia più trattata come un disturbo o una malattia. Vogliamo che i consultori siano luoghi di sperimentazione, in cui sovvertire i ruoli di genere e capaci di mettere in discussione i concetti di abilismo e salute mentale. Ancora, vogliamo abolire la rettificazione neonatale dei genitali per le persone intersex.

Vogliamo consultori in grado di promuovere e tutelare il diritto alla salute delle persone trasgender, lesbiche, queer, gay, bisex, e intersex – in termini di autodeterminazione, fuori da un discorso normativo e patologizzante, senza discriminazioni legate all’età, alla dis/abilità o alla neuroatipicità; vogliamo dunque che i consultori diventino luoghi capaci di accogliere e riconoscere le molteplici identità di genere che una persona può sperimentare nella sua vita, nonché accogliere e riconoscere qualsiasi tipo di orientamento sessuale. Massima deve essere l’attenzione anche ai bisogni delle donne provenienti da altre culture ed etnie.

Sui nostri corpi, sulla nostra salute e sul nostro piacere decidiamo noi.